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Scienza aleatoria su Capoverso

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[ Articolo pubblicato sulla rivista Capoverso ]

Binomio suggestivo quello di poesia e scienza che anima quest’ultimo libro di Roberto Maggiani dal titolo Scienza aleatoria; esplicativo è già il testo Poeticizzazione (si noti, peraltro, la suffissazione deverbale del neologismo) che possiamo assurgere a vera e propria poetica dell’autore quando scrive che «le scienze devono essere poetizzate / poiché il poeta vede i nessi tra le parti del reale – / laddove la scienza divide il poeta unisce». Ne consegue che l’osservazione (alias “poeticizzazione”) del mondo investe sia il micro sia il macrocosmo che, come fa notare Franca Alaimo nella nota introduttiva, risultano pienamente «interdipendenti», seppure si tratti di una interdipendenza che tende ad una reductio ad unum ovvero - per usare un’espressione del poeta - ad «un’unica equilibrata visione». Pertanto, rispondente a tale visione in cui «spirito e materia dialogano amorevolmente» (Alaimo), il nostro (che, è bene ricordare, è laureato in fisica e si occupa di divulgazione scientifica) intesse, sì, un appassionato “dialogo” con la scienza, ma ci rende anche testimoni di quell’emozione e fascinazione che a coglierlo e a disarmarlo ogni volta è «la bellezza del mondo», tale da fargli dire: «non voglio altro che quella gioia, / quel gaudio pieno», quel «sole del mattino / sulle cime aguzze dei cipressi / quando l’azzurro / s’azzurra ancor di più / e dietro quel nitore / vedo e immagino / tutto l’universo / e altre vite / e penso: che piccolezza / che inutile fermento». Visione, quella di Maggiani, che beninteso - come suggeriscono i due ultimi versi citati - non si risolve in mera descrizione bozzettistica, ma altresì sollecita interrogazioni sia intorno alla nostra gigantesca finitudine e, al contempo, kantiana grandezza, sia intorno al fluire delle cose che, seppure soggette all’inevitabile panta rei («tutto cambia, la nostra vita cambia»), non mancano di rigenerarsi, e dunque di conformarsi all’eterna legge della natura, al suo perpetuo ciclo, protagonisti, per esempio, il «rumore del ruscello, / la freschezza delle foglie mosse dal vento / e il colore ocra del sole / sul paese» o il «seme» che «sta per germogliare / nell’oscurità, / il nuovo mondo».

Che la poesia, però, abbia la meglio sulla scienza (e sulla hubrys della ragione umana, tale da spiegare l’exergo da Isaia, 29,14, apposto a una sezione del libro), lo chiarifica, da una parte, il titolo della raccolta, attraverso l’aggettivo “aleatoria” che rinvia ad una finita dimensio, riflesso della cagionevolezza, dei limiti di scandaglio del logos umano, dall’altra, la maniera con cui Maggiani propende per la poesia o piuttosto si lasci “invadere” da essa, senza che per questo venga meno quell’amore, quell’«ardente sete di sapere», se appunto «non io che non sono poeta / ma scienziato / […] ti parlo per tua gioia / di quel mondo così piccolo / o così lontano - / di atomi o stelle». Resta tuttavia indissolubile nell’autore carrarese il connubio, la reciproca dipendenza dell’una dall’altra, come pure si evince dalla “costruzione” di non pochi testi. Spesso, infatti, il poeta parte da descrizioni che offrono il pretesto per l’innalzamento dello sguardo all’osservazione di quanto ci è intorno, fino a giungere alla visione d’insieme di cui si diceva. Indicativa - quantomeno per la sua collocazione ad apertura di libro - è già la poesia Fantasia. In essa l’osservazione del poeta abbraccia sia l’immanenza del marinaio sia la felice visione della Luna; vocabolo, quest’ultimo, che, conforme all’uso scientifico del termine (vedi maiuscola), il poeta adotta non già nel suo tòpos poetico, quanto nel suo significato di satellite astronomico, salvo poi ammantarlo (giacché, dopotutto, «la poesia è mantello regale») di una perifrasi poetica di fine bellezza («La Luna è un grande occhio / di cristallo venato nell’azzurro»). È interessante notare poi che il salto spaziale «terra»/«Luna» (e dunque il conseguente allargarsi del campo visivo dal marinaio verso il cielo), che Maggiani affida alla bipartizione strofica, è meno tangibile di quanto induca a credere lo spazio grafico che separa la prima dalla seconda strofa, vista la vicinanza del sostantivo «terra» (in clausola) al vocabolo «Luna» (inizio verso); espediente che, giustappunto, marca ed esprime proprio quella reciproca corrispondenza scienza/poesia che è la vera anima del libro, la cui unione, nel testo in questione, è peraltro sottolineata dal termine biunivoco e reversibile “occhio”, usato sia a proposito del marinaio, attraverso la voce “sguardo”, afferente al medesimo campo semantico, sia più esplicitamente alla luna, attraverso il suddetto «grande occhio di cristallo».

Una particolare attenzione merita, nondimeno, il livello espressivo di questa poesia. Funzionale alla resa tematica è il linguaggio dell’opera, che contempera stilemi poetici con sintagmi specialistici, attraverso la combinazione di lemmi settoriali (vedi i vocaboli «quantistico», «ammonio», «Black-Hole», «fotoni», «micrometri») e di voci di derivazione più prettamente poetica; interessante si presenta, inoltre, l’andamento del discorso che, non esente certa finalità divulgativa, si attesta sul registro medio-alto e finanche narrativo, come nella Equazione di Maxwell del campo elettromagnetico o in Radiazioni luminose. Si aggiunga, infine, la disposizione versicolare dei componimenti, il più delle volte verticalizzata, in grado sia di rendere visivamente lo slancio della poesia verso le altezze del cielo e viceversa, sia di valorizzare appieno la parola, depositaria non di rado delle interrogazioni del poeta - quasi novello presocratico - intorno all’arché delle cose, intorno ai giganti e straordinari misteri della natura.


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